Da scelta a necessità. In ambito mondiale è sempre più consistente la fetta di mercato catturata dalle auto elettriche. Le e-car hanno sfondato il muro delle 4 milioni di presenze durante l’anno e gli analisti stimano che il traguardo dei 5 milioni possa essere tagliato in meno di sei mesi. Scelte come strumento di contrasto all’inquinamento, queste hanno però spesso prezzi sostenuti e assistenza post vendita non ancora all’altezza di quella delle sorelle che utilizzano i più comuni carburanti. A favorire il loro commercio sarà senza ombra di dubbio l’approvazione, da parte del Parlamento europeo, di un disegno di legge destinato a rivoluzionare l’industria automobilistica. Entro il 2025, infatti, le case costruttrici saranno obbligate a destinare una quota di mercato del 20% per le auto a emissioni zero o a basse emissioni (sotto i 50 g/km di CO2). Per queste ultime si intendono le macchine elettriche, ibride plug-in e fuel cell. La stessa quota deve aumentare al 35% a partire dal 2030.

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Cosa ha stabilito l’Europarlamento

Una svolta che giunge sulla scorta dell’approvazione di un altro ddl che verrà presto convertito in legge, ovvero quello che prevede la riduzione del 40% di emissioni di CO2 provocate dalle auto entro il 2030. La percentuale di riduzione si riferisce ai limiti già fissati per il 2021. Per meglio verificare le emanazioni è stata inoltre chiesta l’introduzione di un dispositivo portatile, strumento che permetterebbe di sostituire il calcolo attuale basato semplicemente sui consumi di carburante. Inoltre la Commissione Europea ha proposto il varo, entro la fine del prossimo anno, di una legge che regolamenti le etichette UE delle nuove auto messe sul mercato, al fine di informare i clienti sui consumi, sul CO2 e sulle rispettive emissioni inquinanti. Le case costruttrici saranno chiamate a riportare, in maniera standardizzata, i dati sulle emissioni del gas serra delle nuove vetture per il loro intero ciclo “vitale”.

Le perplessità delle aziende sulla conversione

La stretta sulle emissioni non tiene tuttavia conto degli altri gas inquinanti prodotti da automobili e furgoni, quale ad esempio l’ossido di azoto. L’annunciato e prevedibile passaggio a una mobilità elettrica e sostenibile, insomma, rischia di risultare parziale e, soprattutto, di non disporre dei tempi necessari per una piena conversione. È questo il dubbio sollevato dall’ Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica (ANFIA), che già prima dell’approvazione del ddl aveva segnalato come non vi fosse “il tempo sufficiente per attuare gli indispensabili cicli di sviluppo e produttivi, arrivando solo tre anni dopo gli obiettivi già definiti per il 2020-2021”. Un rischio connesso a quello del crollo dell’occupazione, in un settore che solo in Italia impegna oltre 250.000 lavoratori. Di fronte allo spostamento massiccio verso l’elettrico, con automobili dotate di meno parti in movimento e che necessitano di una manodopera inferiore, buona parte di loro vedrebbero il proprio posto di lavoro a rischio.

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